Santi del 3 Febbraio
*Adelino di Celles *Alois Andritzki *Anna, Profetessa *Berlinda di Meerbeke *Biagio *Celerino di Cartagine *Claudina Thevenet *Elinando *Giovanni Nelson *Giovanni Vallejo *Leonio *Lupicino *Marianna Rivier *Maria Elena Stollenwerk *Oscar *Remedio di Gap *Simeone *Tigrido di Gap *Vereburga *Altri Santi del giorno *
*Sant'Adelino di Celles - Abate (3 Febbraio)
Etimologia:
Adelino = nobile, dall'antico tedesco
Martirologio Romano:
Nel Monastero di Celles nell’Hainault, nell’odierno Belgio, Sant’Adelino, Sacerdote e Abate.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Adelino di Celles, pregate per noi.
*Beato Alois Andritzki - Sacerdote e Martire (3 Febbraio)
Radibor, Germania, 2 luglio 1914 - Dachau, Germania, 3 febbraio 1943
Alois è stata un'altra vittima in più di Dachau, una figura sconosciuta che ciononostante si comincia a ricordare. È nato a Radibor Silesia, il quarto tra sei fratelli. Anche i suoi due fratelli maggiori erano sacerdoti. Era stato arrestato per le sue "attività sediziose" contro il regime nazista - la sua influenza "malefica" sui giovani - è stato arrestato e rinchiuso in campo di concentramento.
Secondo i dati storici, Alois era un sacerdote molto vitale, lavoratore, pieno di vita e perfino acrobata. Rallegrava i suoi compagni di prigionia camminando sulle mani, sicuramente una figura eccentrica e divertente, per coloro che vivevano nell'inferno di Dachau, come lo si conosce comunemente (P. Sales Hess, "Dachau, eine Welt ohne Gott", Un mondo senza Dio).
Era entrato al campo di concentramento il 2 ottobre 1941, dopo essere stato arrestato dalla polizia nazista in due occasioni, essendosi convertito in una "persona pericolosa" per il regime di Hitler e i suoi seguaci.
Nel campo di concentramento aveva aderito ad uno dei gruppi di Schoenstatt, di cui i leader erano due sacerdoti schoenstattiani: Josef Fischer ed Heinz Dresbach. É stato beatificato il 13 giugno 2011.
È “subdolo” ed ha un’influenza “malefica” sui giovani e per un prete è il miglior complimento, se a giudicarlo così è la Gestapo, che guarda con sospetto e perseguita proprio i preti più entusiasti e che hanno il maggior ascendete sui giovani. La vita di don Luigi Andritzki è tutta qui, se vogliamo, perché è limpida e coerente. E anche breve, perché si esaurisce nell’arco di appena 29 anni, di cui solo 4 di sacerdozio.
Di famiglia serba, nasce nel 1914 nella Germania sud-orientale, da genitori insegnanti e buoni cattolici, al punto che, proprio nel buio del regime nazista, ben tre dei loro figli entrano in seminario. Lui, Luigi, è un giovane brillante, sportivo e dinamico quando a 20 anni decide di farsi prete; ordinato nel 1939, comincia ad esercitare a Desdra,mettendo in moto le identiche qualità.
Sono soprattutto i giovani a subire il suo fascino, perché sa parlare loro di Dio anche attraverso il nuoto, il disegno e la ginnastica, organizzando partite di calcio e scuole di musica. Proprio per questo i nazisti cominciano a tenerlo costantemente sotto osservazione: parla troppo bene, è troppo critico verso il regime, riesce ad intercettare i giovani ed a farsi seguire.
Tutte cose che, messe insieme, costituiscono più di un capo d’accusa nei suoi confronti. “Queste sono solo schermaglie, il peggio deve ancora venire”, dice ai suoi ragazzi a Natale 1940: è pienamente cosciente dei rischi cui va incontro, oltre ad essere un osservatore attento e lucido della situazione politica che sta vivendo. “Fra un paio d’anni saremo ghigliottinati tutti”, dice profeticamente; nemmeno un mese dopo lo arrestano, al termine di una rappresentazione teatrale in cui ha cercato di spiegare ai giovani la fine che faranno i cristiani durante la seconda guerra mondiale.
Processato come “nemico dello stato” e giudicato colpevole di aver sferrato attacchi feroci al governo ed al partito con la sua predicazione ed il suo apostolato tra i giovani, viene condannato a sei mesi di carcere, terminati i quali viene deportato a Dachau. “Considerato il comportamento di suo figlio, si deve purtroppo ritenere che questi continuerebbe a perseverare nelle sue eretiche calunnie contro lo Stato”, scrive la cancelleria di Hitler, respingendo la commovente supplica di scarcerazione inoltrata da papà Andritzki: nella sua lucida perfidia, la Gestapo è pienamente consapevole del coraggio e dell’inflessibilità di don Luigi.
Che non si smentisce neanche nel lager, stringendo con un amico benedettino, nel momento in cui vi entra il 10 ottobre 1941, un patto “eroico”: “Non ci lamenteremo mai. Non abbandoneremo il nostro contegno. Non dimenticheremo neanche per un attimo il nostro sacerdozio”.
Il che è più facile a dirsi che a farsi, quando i mesi si protraggono, le umiliazioni abbondano, il cibo è insufficiente, il lavoro forzato sfibra anche i più robusti. A quei poveri esseri strappano via tutto, anche la dignità; solo il sorriso non riescono a rubare dal volto di don Luigi. “Era una specie di don Bosco”, dicono adesso di lui, “curava i malati, sosteneva gli anziani, consolava chi era triste”, naturalmente sorridendo sempre. Fino a che gli restano le forze fa anche l’equilibrista, camminando sulle mani per strappare un sorriso ai compagni di prigionia. “Chi lo vedeva al mattino restava pieno di gioia per tutta la giornata”,dice un testimone, neanche forse accorgendosi della gran bella cosa che sta dicendo di quel prete gioioso.
Che a Natale 1942 si ammala di tifo e viene portato in infermeria. Il 3 febbraio 1943 chiede di poter ricevere la comunione e beffardamente il guardiano del reparto gli offre un’iniezione letale. Finisce così la vita breve del prete che sorrideva sempre e che un anno prima aveva scritto: “Se ora non possiamo essere i seminatori cerchiamo di essere almeno il seme, per portare abbondanza di frutti al tempo della raccolta”. Lunedì 13 giugno 2011 don Luigi Andritzki è stato beatificato a Desdra: è il primo Beato serbo e il primo martire che camminava sulle sue mani.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Alois Andritzki, pregate per noi.
*Anna - Vedova e Profetessa (3 Febbraio)
Gerusalemme, I secolo
“C’era anche una Profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni.
Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. (Lc 2,36-38)
Patronato: Vedove, Vergini, Monache
Etimologia: Anna = grazia, la benefica, dall'ebraico
Emblema: Pergamena
Martirologio Romano: A Gerusalemme, commemorazione dei Santi Simeone e Anna, il primo anziano giusto e pio, l’altra vedova e profetessa: quando Gesù Bambino fu portato al tempio per essere presentato secondo la consuetudine della legge, essi lo salutarono come Messia e Salvatore, Beata speranza e redenzione d’Israele.
Nelle Chiese orientali una particolare venerazione è riservata molti dei personaggi citati nel Nuovo Testamento, in particolare discepoli di Gesù o degli apostoli.
Oggi è invece la festa della profetessa Anna, tutt’altra persona dalla leggendaria madre della Madonna, citata con il vecchio Simeone dall’Evangelista Luca nel contesto della Presentazione al Tempio di Gesù:
“C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser.
Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni.
Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,36-38).
Questo singolare personaggio femminile pare fosse dunque in attesa dell’avvento del Salvatore.
Se il vegliardo Simeone costituisce una figura vivente del vecchio Israele, dell’Antica Alleanza, che attende la venuta del Messia per scomparire e lasciare il posto alla luce ed alla verità del Vangelo,
Sant’Anna rappresenta invece il modello delle sante vedove, delle vergini e delle monache, che si staccano da tutti beni del mondo per dimorare permanentemente nel Tempio del Signore, offrendo i loro digiuni, i loro inni e le loro preghiere nell’ardente attesa della venuta del Salvatore. Quando Anna e Simeone con gli occhi del loro cuore videro il Cristo venuto tra loro, poterono allora annunciare con gioia e certezza che il Salvatore era giunto nel mondo quale “Luce per illuminare le genti e gloria d’Israele suo popolo”. Anche la Chiesa Cattolica ha ereditato dall’Oriente cristiano la venerazione verso la profetessa Anna ed il nuovo Martyrologium Romanum pone in data odierna, giorno successivo alla Presentazione del Signore, la sua commemorazione unitamente al santo vecchio Simeone.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Anna, pregate per noi.
*Santa Berlinda di Meerbeke (3 Febbraio)
Martirologio Romano: A Meerbeke in Brabante, nell’odierno Belgio, Santa Berlinda, vergine, che condusse in questa città una religiosa vita di povertà e di carità.
Secondo la Vita Berlindis, scritta verso la metà del sec. XI da un monaco di Lobbes, che mantiene l'anonimo denominandosi solo con la iniziale del suo nome, H. e che con ogni probabilità va identificato con Uberto (Hubertus) autore della vita di santa Gudula, Berlinda sarebbe vissuta nel sec. VII. Dopo gli studi di R. Podevyn, questa affermazione, comunemente accettata dagli studiosi, va radicalmente modificata, e la vita di Berlinda va collocata negli ultimi decenni del sec. IX e nei primi del sec. X. La Vita, tuttavia, a parte questo quadro cronologico errato e vari elementi leggendari, contiene numerosi elementi storicamente attendibili.
Berlinda nacque negli ultimi decenni del sec. IX da Odelardo, signore di Meerbeke presso Ninova (nella Fiandra orientale), e da Nona, a torto detta sorella di sant'Amando. Verso l'880 durante l'invasione normanna delle Fiandre, Odelardo fu incaricato della difesa del territorio tra Anversa e Condé. Durante tale guerra, egli perdette il figlio Eligardo, e dopo la sconfitta dei Normanni nell'891, tornato a Meerbeke, fu colpito dalla lebbra.
Berlinda, già rimasta orfana di madre, visse col padre in quegli anni curandolo amorevolmente. Ma un giorno Odelardo credette di notare nella figlia, non si sa se a ragione o a torto, un senso di disgusto per la sua malattia, ed irritato la diseredò in favore del monastero di Santa Geltrude di Nivelles.
Allora Berlinda, abbandonata dal padre, si ritirò nel monastero di Moorsel, presso Alost, dove visse vari anni in estrema povertà con le poche monache, che erano tornate dopo l'invasione normanna da Chévremont, presso Liegi, dove si erano rifugiate. Un giorno ebbe la rivelazione della morte del padre, e, tornata a Meerbeke, ne curò la sepoltura nella chiesa del devastato monastero di San Pietro. Cedendo alle sollecitudini dei suoi familiari, Berlinda si trattenne a Meerbeke conducendo una vita di austerità, di preghiera e di carità, assieme ad alcune altre pie donne che le si erano raccolte attorno. Nella Vita della santa, oltre ai numerosi miracoli che le sono attribuiti dopo la morte, vengono narrati vari prodigi occorsile in vita, dei quali alcuni chiaramente fantastici: come varie trasformazioni, tra le quali quelle di pesce in carne e di acqua in vino in giorni particolarmente solenni ed anche quella del materiale del suo sarcofago da legno in pietra.
Berlinda morì ventisette anni dopo la morte del padre tra il 930 ed il 935, e venne sepolta nella chiesa di San Pietro. Solo dopo la sua morte l'abbazia di Nivelles prese possesso dei beni di Meerbeke e promosse il culto della santa. Il vescovo di Cambrai Autberto II (960-65) a trent'anni dalla morte di Berlinda procedette ad una solenne traslazione delle reliquie nella nuova chiesa dedicata alla Vergine costruita a Meerbeke. La cura di questa chiesa fu affidata ad una comunità di sei monache e di sei ecclesiastici posti sotto la direzione di un prevosto, nominato dall'abbadessa di Nivelles. Alcune reliquie della santa vennero portate nel monastero di Santo Stefano di Tulle.
Berlinda è una delle sante più popolari e più venerate nel Belgio. Viene considerata come speciale patrona contro varie malattie, in particolare di animali e, soprattutto, dei bovini; la Santa è perciò particolarmente popolare nell'ambiente agricolo. Specialmente nel tempo di Pentecoste vari pellegrinaggi di contadini dalla Fiandra, dal Brabante e dall'Hainaut si recano a Meerbeke al sepolcro della Santa.
Berlinda viene festeggiata al 3 febbraio, specie nell'Ordine benedettino e nella diocesi di Gand, talora assieme alle consorelle Celsa e Nona. Venne ricordata anche in altre date, il 3 maggio, il 3 settembre, il 29 ottobre, in ricordo di varie traslazioni.
(Autore: Gian Michele Fusconi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Berlinda di Meerbeke, pregate per noi.
*San Biagio - Vescovo e Martire (3 Febbraio)
Morto a Sebaste (Armenia), ca. 316
Il Martire Biagio è ritenuto dalla tradizione Vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della "pax" costantiniana.
Il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è perciò spiegato dagli storici con una persecuzione locale dovuta ai contrasti tra l'occidentale Costantino e l'orientale Licinio.
Nell'VIII secolo alcuni armeni portarono le reliquie a Maratea (Potenza), di cui è patrono e dove è sorta una basilica sul Monte San Biagio.
Il suo nome è frequente nella toponomastica italiana - in provincia di Latina, Imperia, Treviso, Agrigento, Frosinone e Chieti - e di molte nazioni, a conferma della diffusione del culto. Avendo guarito miracolosamente un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola, è invocato come protettore per i mali di quella parte del corpo. A quell'atto risale il rito della "benedizione della gola", compiuto con due candele incrociate. (Avvenire)
Patronato: Malattie della gola
Etimologia: Biagio = bleso, balbuziente, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Candela, Palma, Petti
Martirologio Romano: San Biagio, vescovo e martire, che in quanto cristiano subì a Sivas nell’antica Armenia il martirio sotto l’Imperatore Licinio.
C’è una sua statua anche su una guglia del Duomo di Milano, la città dove in passato il panettone natalizio non si mangiava mai tutto intero, riservandone sempre una parte per la festa del nostro Santo. (E tuttora si vende a Milano il “panettone di San Biagio”, che sarebbe quello avanzato durante le festività natalizie).
San Biagio lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele incrociate (oppure con l’unzione, mediante olio benedetto), sempre invocando la sua intercessione.
L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato un bambino da una spina o lisca conficcata nella sua gola.
Vescovo, dunque.
Governava, si ritiene, la comunità di Sebaste d’Armenia quando nell’Impero romano si concede la libertà di culto ai cristiani: nel 313, sotto Costantino e Licinio, entrambi “Augusti”, cioè imperatori (e pure cognati: Licinio ha sposato una sorella di Costantino). Licinio governa l’Oriente, e perciò ha tra i suoi sudditi anche Biagio. Il quale però muore martire intorno all’anno 316, ossia dopo la fine delle persecuzioni. Perché? Non c’è modo di far luce. Il fatto sembra dovuto al dissidio scoppiato tra i due imperatori-cognati nel 314, e proseguito con brevi tregue e nuove lotte fino al 325, quando Costantino farà strangolare Licinio a Tessalonica (Salonicco).
Il conflitto provoca in Oriente anche qualche persecuzione locale – forse ad opera di governatori troppo zelanti, come scrive lo storico Eusebio di Cesarea nello stesso IV secolo – con distruzioni di chiese, condanne dei cristiani ai lavori forzati, uccisioni di vescovi, tra cui Basilio di Amasea, nella regione del Mar Nero.
Per Biagio i racconti tradizionali, seguendo modelli frequenti in queste opere, che vogliono soprattutto stimolare la pietà e la devozione dei cristiani, sono ricchi di vicende prodigiose, ma allo stesso tempo incontrollabili.
Il corpo di Biagio è stato deposto nella sua cattedrale di Sebaste; ma nel 732 una parte dei resti mortali viene imbarcata da alcuni cristiani armeni alla volta di Roma.
Una improvvisa tempesta tronca però il loro viaggio a Maratea (Potenza): e qui i fedeli accolgono le reliquie del santo in una chiesetta, che poi diventerà l’attuale basilica, sull’altura detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta nel 1963 la grande statua del Redentore, alta 21 metri.
Dal 1863 ha assunto il nome di Monte San Biagio la cittadina chiamata prima Monticello (in provincia di Latina) e disposta sul versante sudovest del Monte Calvo.
Numerosi altri luoghi nel nostro Paese sono intitolati a lui: San Biagio della Cima (Imperia), San Biagio di Callalta (Treviso), San Biagio Platani (Agrigento), San Biagio Saracinisco (Frosinone) e San Biase (Chieti). Ma poi lo troviamo anche in Francia, in Spagna, in Svizzera e nelle Americhe... Ne ha fatta tanta di strada, il vescovo armeno della cui vita sappiamo così poco.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Biagio, pregate per noi.
*San Celerino di Cartagine - Martire (3 febbraio)
Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, San Celerino, lettore e martire: in carcere, non vinto da ceppi, spada e vari supplizi, confessò Cristo, seguendo le orme di sua nonna Celerina già da tempo coronata dal martirio, dello zio paterno Lorenzo e dello zio materno Ignazio, che, un tempo soldati attivi nella vita militare, ma poi divenuti vera milizia di Dio, ottennero con la loro gloriosa passione la palma e la corona dal Signore.
Africano, probabilmente di Cartagine, appartenne alla famiglia dei santi martiri Lorenzo, Ignazio e Celerina, rispettivamente suo zio paterno, suo zio materno e sua nonna, dei quali la Chiesa cartaginese festeggiava ogni anno il dies natalis. Allo scoppio della persecuzione di Decio (gennaio 250), Celerino si trovava a Roma.
Arrestato con molti altri cristiani, dopo diciannove giorni di duro carcere che gli lasciarono i segni dei ceppi e della fame, impegnò battaglia contro il promotore della feroce persecuzione e «vinse l'avversario con la sua indomabile energia, così da meritarsi la sua ammirazione e aprire agli altri la via della vittoria» (San Cipriano). Rilasciato, forse, anche per la sua giovane età, si angosciò per la sorte di due cristiane «cadute», Numeria e Candida.
In attesa che la decisione sulla riammissione delle colpevoli in seno alla Chiesa fosse presa dal successore del papa Fabiano (martirizzato il 20 gennaio), Celerino sollecitò uno speciale intervento dei fratelli cartaginesi imprigionati: il primo a essere chiamato al martirio avrebbe dovuto concedere alle due disgraziate un biglietto d'indulgenza in vista del loro pentimento e delle cure da esse prestate a sessantacinque cristiani cartaginesi esiliati a Roma.
Celerino scrisse in tal senso all'amico Luciano e questi, dalla prigione in cui languiva d'inedia, rispose positivamente: appena tornata la pace le due colpevoli e tutti gli altri lapsi romani pentiti avrebbero ottenuto il perdono previo esame della loro causa da parte del vescovo e la confessione della loro colpa. San Cipriano biasimò l'iniziativa temeraria di Luciano, «uomo di fede ardente e di robusto coraggio, ma poco fondato nella Sacra Scrittura»; lodò, invece, la prudenza e la reverenza per la religione che trasparivano dalla lettera di Celerino; quando questi, alla fine del 250 (Tillemont) o al principio del 251 (Ferron), si recò a Cartagine ed espresse a Cipriano, appartato nel suo nascondiglio, l'ammirazione dei cristiani di Roma, il vescovo lo nominò subito lettore della Chiesa cartaginese, forse meditando di conferirgli in seguito gli altri ordini sacri.
Celerino, riluttante, accettò, dopo una visione notturna, quell'onore ecclesiastico. Forse una cattiva interpretazione della notifica della nomina, fatta da Cipriano al clero e al popolo cartaginese, ha indotto gli autori delle notizie su Celerino nei martirologi storici (compreso il Romano) a designarlo erroneamente come diacono.
È dubbio se debba essere identificato col Celerino che Papa Cornelio, nella lettera a Fabio vescovo di Antiochia, dice travolto dallo scisma di Novaziano e poi tornato all'ortodossia (PL, III, coll. 759-60a). Fu certo latore della lettera indirizzata da Cipriano a Cornelio, quando questi era esule a Civitavecchia (Tillemont). Non si sa con quale fondamento i martirologi storici, seguendo Floro di Lione, ne fissino la festa il 3 gennaio, in coincidenza con la commemorazione della nonna e degli zii.
(Autore: Ireneo Daniele – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Celerino di Cartagine, pregate per noi.
*Santa Claudina Thevenet (Maria di S. Ignazio) - Religiosa (3 Febbraio)
Lione, 30 marzo 1774 - Lione, 3 febbraio 1837
Nasce a Lione il 30 marzo 1774: sino ai 15 anni Claudina Thevenet studia nell'Abbazia di Saint-Pierre-les-Nonnais. Una adolescenza, la sua, trascorsa nel periodo del terrore della Rivoluzione francese che le costa la perdita di due fratelli.
Lei assiste all'esecuzione ma, sull'esempio dei due uomini che perdonano gli aguzzini, decide di operare per il bene dei poveri e degli orfani. Nel 1816 collabora alla creazione dell'Istituto della Pia unione del Sacro Cuore di Gesù; quindi, nel 1818 fonda la Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, dedita all'educazione delle ragazze.
Nella zona di Lione apre un educandato per giovani di buona famiglia e per orfanelle. Nel 1835 la sua salute peggiora ma Claudina non rinuncia agli impegni. Due anni più tardi, il 3 febbraio, muore a Lione. Madre Maria Teresa di Sant'Ignazio (nome che prese nella sua professione religiosa) è stata beatificata da Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1981 e canonizzata il 21 marzo 1993. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Lione in Francia, santa Maria di Sant’Ignazio (Claudina) Thévenet, vergine, che mossa da carità e da forza d’animo fondò la Congregazione delle Suore dei Sacri Cuori di Gesù e Maria per la formazione cristiana delle giovani, soprattutto povere.
Nacque a Lione il 30 marzo 1774; da fanciulla fino ai 15 anni visse nell’abbazia di Sain-Pierre-les-Nonnains per ricevere un’adeguata educazione; la sua adolescenza si svolse nel terribile periodo del Terrore in piena Rivoluzione Francese che vide anche la morte di due suoi fratelli barbaramente uccisi il 5 gennaio 1794, vittime delle cosiddette “stragi di Lione”.
Claudina fu spettatrice terrorizzata della loro esecuzione e da ciò riportò per tutta la vita un continuo tremolìo del capo e un respiro affannoso come da ansia. Seguendo l’esempio dei fratelli che in punto di morte perdonavano i loro carnefici, anche Claudina perdonò, passando ad operare e far del bene verso i poveri e gli orfani, dapprima isolatamente e in seguito con l’aiuto di altre giovani della parrocchia, diretta dal padre Andrea Coindre.
Nel 1816 collaborò al sorgere dell’istituzione della Pia Unione del Sacro Cuore di Gesù, che raccolse intorno a sé altre sette compagne; due anni dopo nel 1818, lasciò la casa paterna per fondare la Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, con il compito dell'educazione religiosa e civile delle ragazze. Aprì a Fourvière un educandato per giovani di buona famiglia ed una per orfanelle e povere a cui dare un’educazione, indirizzandole anche al mestiere di filandaie, per poter dar loro un futuro di lavoro nei setifici di Lione. Nel 1835 la sua salute cominciò ad andar male, ma lei non si risparmiò nella conduzione degli istituti e nella guida delle consorelle, finché aggravatosi le sue condizioni, morì santamente il 3 febbraio 1837 a Lione. Madre Maria di Sant'Ignazio (nome che prese nella sua professione religiosa) è stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1981 e canonizzata dallo stesso pontefice il 21 marzo 1993.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Claudina Thevenet, pregate per noi.
*Beato Elinando - Monaco Cistercense a Froidmont (3 Febbraio)
1160 - 1230 c.
Martirologio Romano: Nel monastero cistercense di Froidmont nel territorio di Beauvais in Francia, Beato Elinando, monaco, che, un tempo celebre trovatore errante, scelse poi la vita umile e nascosta del chiostro.
Elinando nacque circa il 1160 da una nobile famiglia di Fiandra nel territorio di Beauvais (probabilmente a Angivillers, non lontano da Saint-Just-en-Chaussée). Infatti, in seguito alla morte del conte di Fiandra, Carlo il Buono, assassinato il 2 marzo 1127 nella chiesa di san Donaziano di Bruges, Ermanno, padre di Elinando, ed Ellebaut, suo zio, sospettati di aver preso parte al complotto, erano stati costretti a cercar rifugio in Francia. Elinando fece studi molto seri a Beauvais, dove ebbe per maestro il grammatico Rodolfo (frate Raoul), allievo di Abelardo, distinguendosi per la vivacità della sua intelligenza e la ricchezza della sua immaginazione. Poiché amava la poesia ed era dotato di una bella voce, si fece ascoltare in pubblico e fu annoverato subito fra i trovatori più famosi. Si dice che il re Filippo Augusto l’apprezzasse molto e amasse farlo venire alla corte.
Ma un giorno Elinando, toccato dalla grazia, comprese la vanità di questi successi mondani e, verso il 1182, dando addio al mondo, prese l’abito cistercense nell’abbazia di Froidmont, fondata nel 1134 non lungi da Beauvais. Vi si fece notare per la sua pietà e il suo fervore; ciò che non gli impedì di continuare a dedicarsi alla coltura delle lettere. Nel chiostro compose, tra il 1194 e il 1197, i suoi Versi della Morte, in francese. Questo poema, che consta di cinquanta strofe di dodici versi ottonari, è rimasto giustamente celebre ed esercitò un’influenza profonda sulla letteratura del Medio Evo. In versi pieni di mordente e di humour, Elinando non si astiene dal lanciare qualche invettiva all’indirizzo dei principi, dei ricchi e dei potenti e anche dei cardinali e dei vescovi.
Inoltre, egli ha lasciato molte opere in latino. Abbiamo dapprima un Chronicon, in quarantanove libri, composto avanti il 1216: i primi libri sono perduti e ciò che rimane si estende dall’anno 634 dell’era cristiana fino alla presa di Costantinopoli per mano dei crociati nel 1204. Si hanno poi dei Flores, raccolti a cura di Vincenzo di Beauvais, che comprendono tre trattati; De cognitione sui; De bono regimine principia; De reparatione Lapsi o Epistola ad Galterum, per invitare costui a ritornare al chiostro che aveva lasciato dopo la sua professione. Restano infine ventotto sermoni per le principali feste dell’anno, fra i quali uno sull’Ascensione pronunziato a Tolosa, nella chiesa di san Giacomo, davanti agli studenti, in occasione del concilio contro gli Albigesi tenuto nel 1229, sotto la presidenza del legato romano, il cardinale di Sant’Angelo.
A ciò bisogna aggiungere un poema sulla morte composto di trentaquattro distici terminati da un esametro, pubblicato recentemente da M. T. Porte in base a due manoscritti.
I sermoni datano dagli ultimi anni della vita di Elinando. Vi si trova una solida dottrina, numerose allusioni alla liturgia, citazioni dei Padri così come dei poeti e dei filosofi dell’antichità. In essi dà prova di una grande libertà di linguaggio, stigmatizzando il lusso dei prelati e del clero e anche quello degli abati cistercensi che cominciavano in quei tempi a elevare edifici sontuosi.
Elinando morì verso il 1230 in età avanzata. L’abate di Citeaux, Giovanni de Ciry, l’ha iscritto nel suo Compendium sanctorum ordinis cisterciensis, e il suo nome figura nel Menologio Cistercense. La festa è stata celebrata nella diocesi di Beauvais dal 1854 fino alla riforma del Breviario fatta da Pio X.
(Autore: Marie-Anselme Dimier – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Elinando, pregate per noi.
*Beato Giovanni Nelson - Sacerdote della Compagnia di Gesù e Martire (3 Febbraio)
“Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia” Beatificati nel 1886-1895-1929-1987”
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, Beato Giovanni Nelson, Sacerdote della Compagnia di Gesù e Martire, che negò alla Regina Elisabetta I la potestà suprema nelle questioni spirituali e, condannato per questo a morte, a Tyburn morì impiccato.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Nelson, pregate per noi.
*Beato Giovanni Vallejo - Mercedario (3 Febbraio)
+ 25 agosto 1592
Religioso del Monastero mercedario di Sant’Antonio in Valladolid (Spagna), il Beato Giovanni Vallejo, fu osservantissimo della solitudine, silenzio e penitenza, illibato per la verginità ed insigne per il dono della profezia.
Verso il 1561, inviato come redentore ad Algeri, liberò più di 500 prigionieri da una dura schiavitù.
Dopo una vita piena di meriti, avendo preannunziato il giorno della sua morte, santamente spirò nel Signore il giorno 25 agosto del 1592.
Il suo corpo fu ritrovato incorrotto e da un’incisione fatta al dito di un piede uscì sangue.
L’Ordine lo festeggia il 3 febbraio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Vallejo, pregate per noi.
*San Leonio - Sacerdote (3 Febbraio)
Martirologio Romano: A Poitiers in Aquitania, ora in Francia, San Leonio, Sacerdote, che si tramanda sia stato discepolo di Sant’Ilario.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leonio, pregate per noi.
*San Lupicino - Vescovo (3 Febbraio)
Martirologio Romano: A Lione in Francia, San Lupicino, Vescovo, al tempo della persecuzione dei Vandali.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lupicino, pregate per noi.
*Beata Marianna Rivier - Fondatrice (3 Febbraio)
Motpezat-sous-Bauzon (Viviers) Francia, 19 dicembre 1768 – Bourg-Saint-Andéol, 3 febbraio 1838
Martirologio Romano: A Bourg-Saint-Andéol nel territorio di Viviers in Francia, Beata Marianna Rivier, Vergine, che, al tempo della rivoluzione francese, quando tutti gli Ordini Religiosi e le Congregazioni venivano chiusi, fondò la Congregazione delle Suore della Presentazione di Maria per istruire il popolo cristiano nella fede.
Gesù nel Vangelo dice insegnando ai suoi discepoli: “Chiedete e vi sarà dato” e Maria Rivier fu l’esempio più lampante di questa continua e fiduciosa richiesta, lei che portava nel corpo i segni di un’impossibile vita normale.
Nacque a Montpezat-sous-Bauzon nella diocesi di Viviers in Francia, il 19 dicembre 1768. La sua grande vivacità, fu la causa di un brutto incidente; aveva circa 16 mesi quando nell’aprile 1770, cadde dal letto, infortunandosi gravemente all’anca; la conseguenza fu che non poteva stare in piedi e quindi si trascinava sulla schiena, aiutandosi con le mani.
La patologia era progressiva, testa e braccia restavano gracili, le articolazioni delle caviglie, ginocchia e polsi s’ingrossavano e le membra erano tutte rattrappite. Lo sviluppo dell’intero corpo era fortemente compromesso, a stento poteva stare in posizione eretta con l’aiuto delle stampelle.
A Montpezat vi era la cappella dei Penitenti, nella quale era venerata dagli abitanti la Vergine della Pietà, e la madre di Maria Rivier fiduciosa, portava ogni giorno la bambina alla Cappella per impetrare la grazia della guarigione alla Madonna; questo pellegrinaggio durò quattro anni e anche la piccola cominciò a pregare la Vergine, seduta su un tappetino, steso fra l’altare e la Pietà per ore, per giorni, per anni. Durante questo periodo, Maria ebbe come una intuizione, che se Dio l’avrebbe guarita, poteva dedicare il resto della sua vita a fare scuola ai bambini, dai quali si vedeva circondata da una schiera, a cui faceva lezione e catechismo. L’8 settembre 1774 con l’aiuto delle stampelle, riuscì a camminare; prese a portare le tacchine al pascolo e a recarsi come ogni giorno all’altare della Vergine; ma una nuova caduta la immobilizzò completamente; ma la fiducia nella grazia non le venne meno e così tre anni dopo il 15 agosto 1777 guarì completamente.
Il suo primo impulso fu quello di ritirarsi in un luogo solitario per una vita di preghiera, ma poi si ricordò la promessa fatta alla Vergine della Pietà: “Ti porterò molti fanciulli” e allora Maria si dedicò all’apostolato fra le giovani coetanee da loro chiamata ‘la piccola mamma’ ed alla visita ai poveri.
Dopo la prima Comunione crebbe in lei il desiderio di appartenere solo a Dio; aveva dodici anni, ma ne dimostrava sette, quando la madre la collocò insieme ad una sorella più grande, presso le suore di Notre-Dame a Pradelles (Alta Loira), qui compì gli studi, con il desiderio sempre più forte di consacrarsi a Dio. Chiese di essere ammessa nel monastero delle stesse suore, ma il Consiglio della Comunità religiosa, escluse che Maria, per la sua gracilità e malferma salute, potesse essere adatta alla vita religiosa.
Rifiutata dalle suore, Maria Rivier non si arrese e nel 1786 a diciotto anni, chiese ed ottenne, non senza difficoltà, il permesso di aprire una scuola, che fu subito frequentata da molti fanciulli, affidati dai genitori che nutrivano tanta fiducia nella giovane maestrina.
Divenne Terziaria Domenicana e Francescana, aprì un locale per le giovani disoccupate della parrocchia per formarle ad un lavoro, visitò gli ammalati e si occupò dei bisognosi. Ma il grande sconvolgimento della Rivoluzione Francese, che scoppiò in quel periodo, bloccò tutto.
Con il decreto del 7-10 novembre 1793 la Convenzione abolì la religione cristiana e le ripercussioni si avvertirono anche a Montpezat, per cui Maria nel 1784, dovette lasciare il paese e rifugiarsi nel vicino villaggio di Thueyts, accolta dal padre Luigi Pontanier sulpiziano (Compagnia dei sacerdoti di s. Sulpizio, fondati a Parigi nel 1642 da J.-J. Olier), che divenne il suo primo sostenitore.
Qui nel 1796, radunò alcune giovani e il 21 novembre dello stesso anno, con quattro compagne, con il permesso del Vicario Generale, promise durante una Messa celebrata dallo stesso padre Pontanier, di offrire se stessa e la sua opera alla Regina del cielo; così nella soffitta dell’edificio scolastico, sorgeva il primo nucleo della futura “Congregazione delle Suore della Presentazione di Maria”.
L’anno successivo il 21 novembre 1797, con le prime undici compagne, Maria che aveva aggiunto il nome di Anna, fece la professione religiosa, con una Regola provvisoria, che fu poi approvata il 7 agosto 1801 dal vescovo di Vienne; quindici giorni dopo ci fu la firma del Concordato, che chiuse un periodo storico della Francia e contemporaneamente il periodo preparatorio della Congregazione.
Da quell’anno la Comunità prese il volo, nel 1803 venne aperto il primo Noviziato; e dal 1802 al 1810 si aprirono ben 46 Case, in tutte Maria Anna portò la sua esortazione ad una vita di preghiera e di impegno educativo e pastorale. Convocava i fedeli in chiesa per l’assemblea della domenica, invitava a recitare il rosario e impartiva istruzione agli uomini e donne.
Dalle multiformi attività otteneva numerosissime confessioni, conversioni clamorose e tante vocazioni; nel 1815, la necessità di maggiore spazio fece lasciare la Casa di Thueyst e il Centro della Congregazione si trasferì a Bourg-Saint-Andéol, nella regione del Rodano, in un antico convento, continuando ad espandersi in tutta la Francia. Nel 1820 era presente in otto diocesi e contava 88 Case e nel 1822 la Regola, frutto di venti anni di esperienza, fu data alle Suore della Presentazione di Maria. La sua intensa attività, che la faceva girare per tutte le Case ed accorrere da tanti parroci che richiedevano la sua opera e la presenza delle sue figlie, la consumarono, ed il decadimento fisico si avvertì alla fine del 1837 e l’inizio del 1838 e dopo breve malattia, morì il 3 febbraio 1838, a 70 anni, nella Casa Centrale di Bourg-Saint-Andéol.
Con la sua morte tutti ebbero l’impressione che con lei moriva una donna eccezionale e santa; lasciava trecento suore sparse in una quindicina di diocesi, con 141 Case. La sua tomba si trova nella Casa generalizia e oggi la Congregazione è presente in Africa, Asia, Europa ed Americhe.
La piccola, storpia, gracile, bambina che non poteva reggersi in piedi, con la sua continua, insistente richiesta di guarire, esaudita dal Signore, diventò un colosso della religiosità operosa cattolica; respinta dal convento, fondò una grande Congregazione; e venne beatificata il 23 maggio 1982 da Papa Giovanni Paolo II, con celebrazione liturgica al 3 febbraio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Anna Rivier, pregate per noi.
*Santa Maria di Sant'Ignazio (Claudina Thevenet) - Religiosa - (3 Febbraio)
Lione, 30 marzo 1774 - Lione, 3 febbraio 1837
Nasce a Lione il 30 marzo 1774: sino ai 15 anni Claudina Thevenet studia nell'Abbazia di Saint-Pierre-les-Nonnais. Una adolescenza, la sua, trascorsa nel periodo del terrore della Rivoluzione francese che le costa la perdita di due fratelli. Lei assiste all'esecuzione ma, sull'esempio dei due uomini che perdonano gli aguzzini, decide di operare per il bene dei poveri e degli orfani. Nel 1816 collabora alla creazione dell'Istituto della Pia unione del Sacro Cuore di Gesù; quindi, nel 1818 fonda la Congregazione delle Religiose di Gesù e Maria, dedita all'educazione delle ragazze. Nella zona di Lione apre un educandato per giovani di buona famiglia e per orfanelle. Nel 1835 la sua salute peggiora ma Claudina non rinuncia agli impegni. Due anni più tardi, il 3 febbraio, muore a Lione. Madre Maria Teresa di Sant'Ignazio (nome che prese nella sua professione religiosa) è stata beatificata da Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1981 e canonizzata il 21 marzo 1993. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Lione in Francia, santa Maria di Sant’Ignazio (Claudina) Thévenet, vergine, che mossa da carità e da’ forza d’animo fondò la Congregazione delle Suore dei Sacri Cuori di Gesù e Maria per la formazione cristiana delle giovani, soprattutto povere.
Nacque a Lione il 30 marzo 1774; da fanciulla fino ai 15 anni visse nell’abbazia di Sain-Pierre-les-Nonnains per ricevere un’adeguata educazione; la sua adolescenza si svolse nel terribile periodo del Terrore in piena Rivoluzione Francese che vide anche la morte di due suoi fratelli barbaramente uccisi il 5 gennaio 1794, vittime delle cosiddette "stragi di Lione".
Claudina fu spettatrice terrorizzata della loro esecuzione e da ciò riportò per tutta la vita un continuo tremolìo del capo e un respiro affannoso come da ansia. Seguendo l’esempio dei fratelli che in punto di morte perdonavano i loro carnefici, anche Claudina perdonò, passando ad operare e far del bene verso i poveri e gli orfani, dapprima isolatamente e in seguito con l’aiuto di altre giovani della parrocchia, diretta dal padre Andrea Coindre.
Nel 1816 collaborò al sorgere dell’istituzione della Pia Unione del Sacro Cuore di Gesù, che raccolse intorno a sé altre sette compagne; due anni dopo nel 1818, lasciò la casa paterna per fondare la Congregazione delle Religiose di Gesù e Maria, con il compito dell'educazione religiosa e civile delle ragazze.
Aprì a Fourvière un educandato per giovani di buona famiglia ed una per orfanelle e povere a cui dare un’educazione, indirizzandole anche al mestiere di filandaie, per poter dar loro un futuro di lavoro nei setifici di Lione. Nel 1835 la sua salute cominciò ad andar male, ma lei non si risparmiò nella conduzione degli istituti e nella guida delle consorelle, finché aggravatosi le sue condizioni, morì santamente il 3 febbraio 1837 a Lione.
Madre Maria di Sant’Ignazio (nome che prese nella sua professione religiosa) è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1981 e canonizzata dallo stesso pontefice il 21 marzo 1993.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Maria di Sant'Ignazio, pregate per noi.
*Beata Maria Elena Stollenwerk - Fondatrice (3 Febbraio)
Steyl, 3 febbraio 1900
Coofondatrice della Congregazione Missionaria delle Serve dello Spirito Santo.
(+ a Steyl 3 febbraio 1900). Nel desiderio di diventare missionaria, si aggregò nel 1882, in qualità di domestica, alla casa di Steyl (Olanda), fondata nel 1875 da p. Arnold Janssen per la formazione di sacerdoti e fratelli missionari.
L'8 dicembre 1889 entrò nella Congregazione delle Serve dello Spirito Santo, fondata dallo stesso p. Janssen.
Contribuì efficacemente allo sviluppo interno ed esterno della giovanissima congregazione.
Poté assistere alla partenza delle prime suore missionarie per l'Argentina e il Togo.
Dopo la costruzione del ramo claustrale delle Serve dello Spirito Santo, passò in quello.
É stata beatificata da Giovanni Paolo II il 7 maggio 1995.
Martirologio Romano: Nel villaggio di Steyl in Olanda, Beata Maria Elena Stollenwerk, vergine, che collaborò con il Beato Arnoldo Janssen alla fondazione della Congregazione delle Serve Missionarie dello Spirito Santo e, dopo aver lasciato l’incarico di superiora, si diede all’adorazione perpetua.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Elena Stollenwerk, pregate per noi.
*Sant'Oscar (Ansgario) - Vescovo (3 Febbraio)
Corbie (Francia), ca. 800 - Brema (Germania), 2 febbraio 865
Da piccolo studia nell'abbazia benedettina di Corbie, suo paese natale. Più tardi vi ritorna, diventando monaco e poi «magister interno», funzione che esercita più tardi nella comunità della Nuova Corbie (Corvey) in Sassonia. Da qui parte la sua avventura di apostolo degli Scandinavi.
Nell'826 accompagna in Danimarca il nuovo re Harald, che ha appena ricevuto il battesimo. Ma dopo un anno deve già lasciare la Danimarca, e con lui l'abbandona Ansgario, che nell'829 viene inviato missionario in Svezia col monaco Vittmaro. Qui il Re Björn gli lascia predicare liberamente il Vangelo.
L'imperatore Lodovico il Pio (successore di Carlo Magno) incoraggia la nascita di una struttura ecclesiastica con sede ad Amburgo e col campo di lavoro oltre frontiera.
Ansgario ne diventa vescovo nell'831, e può dar vita in Svezia a una missione stabile con a capo un vescovo. Nell'840 con la morte di Lodovico e la minaccia dei Normanni crolla tutto ciò che Ansgario stava avviando. Nonostante tutto Ansgario non demorde e riprende la via della Svezia e della Danimarca, ma senza buoni risultati.
Tornato a Brema, non vede realizzato il sogno di un profondo radicamento cristiano al Nord. Muore nell'865. (Avvenire)
Etimologia: Oscar = lancia di Dio, dal tedesco arcaico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sant’Oscar, vescovo di Amburgo e poi insieme di Brema in Sassonia: dapprima monaco di Corbie, fu nominato da Papa Gregorio IV suo legato in tutto il Settentrione; in Danimarca e Svezia annunciò il Vangelo a una moltitudine di popoli e vi fondò la Chiesa di Cristo, superando con forza d’animo molte difficoltà, finché, sfinito dalle fatiche, a Brema trovò riposo.
Da piccolo è stato già scolaro dei benedettini, che nel suo paese natale di Corbie, presso Amiens, hanno una famosissima abbazia. Più tardi vi ritorna, diventando monaco e poi magister interno, funzione che esercita più tardi nella comunità della Nuova Corbie (Corvey) in Sassonia.
Da qui parte la sua avventura di apostolo degli Scandinavi, che è pure una sorta di duello continuo tra i molti insuccessi e il suo coraggio.
Nell’826 accompagna in Danimarca il nuovo re Harald, che ha appena ricevuto il battesimo e che lo sostiene agli inizi della predicazione. Ma è lui, il re, che non riesce a sostenersi sul trono.
Dopo un anno deve già lasciare la Danimarca, e con lui l’abbandona Ansgario, che nell’829 viene inviato missionario in Svezia col monaco Vittmaro. Qui il re Björn gli lascia predicare liberamente il Vangelo ai rari cristiani (perlopiù stranieri, prigionieri di guerra) e alla gente del luogo.
In un anno e mezzo di lavoro il risultato sembra promettente: per questo l’imperatore Lodovico il Pio (figlio e primo successore di Carlo Magno) incoraggia la nascita di una struttura ecclesiastica con sede ad Amburgo (territorio imperiale) e col campo di lavoro oltre frontiera. Ansgario ne diventa vescovo nell’831, e può dar vita in Svezia a una missione stabile con a capo un vescovo. Intanto, riprende l’attività missionaria anche in Danimarca.
Nel giugno 840 muore l’imperatore Lodovico il Pio: l’impero dei Franchi carolingi si frantuma; e intanto le incursioni dei Normanni, gli “uomini del Nord”, devastano l’Europa settentrionale.
Nello sconvolgimento crolla tutto ciò che Ansgario stava avviando, e nell’845 i Normanni piombano addirittura su Amburgo, dove lui fa appena in tempo a salvare le reliquie della sua chiesa.
Va in rovina anche la missione in Svezia, avversata da molti che non amano la “religione degli stranieri”.
Ma lui non rinuncia. Dopo alcuni anni trascorsi a Brema, eccolo arrivare di persona in Svezia, perché non ha nessuno da mandare.
Il re Olaf autorizza la predicazione cristiana, ma i buoni predicatori non ci sono. Dove non arriva Ansgario, tutto infiacchisce e decade.
La sua presenza migliora le cose anche in Danimarca, grazie ai buoni rapporti del re Horik con Lodovico il Germanico, figlio di Lodovico il Pio, e padrone del territorio tedesco.
Ma sono risultati temporanei, troppo minacciati dalla politica.
Questi re del Nord, e la loro politica anche religiosa, dipendono da troppi fattori esterni: se va male una battaglia, se muore un lontano carolingio...
Tornato nei suoi ultimi anni a Brema, Ansgario non vede realizzato il sogno di un profondo radicamento cristiano al Nord. Ma per questo sogno ha messo serenamente in gioco la sua vita intera, continuando a seminare fra i temporali, con ostinatissima speranza.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Oscar, pregate per noi.
*San Remedio di Gap - Vescovo (3 Febbraio)
IV-V secolo
Emblema: Bastone pastorale, Mitra
Martirologio Romano: A Gap in Provenza in Francia, Santi Teridio e Remedio, Vescovi.
San Remedio (in francese Saint Reméde) è un personaggio alquanto incerto dal punto di vista storico e la sua vita è difficilmente collocabile cronologicamente.
Fu vescovo della città di Gap, nel cuore del Delfinato, storica regione alpina posta tra la Savoia e la Provenza, anticamente autonoma e poi accorpata alla Francia dando così origine al tradizionale titolo di “delfino” all’erede del trono francese. Secondo la cronologia della diocesi di Gap, Remedio fu il terzo vescovo e succedette alla sede episcopale di Gap a San Tigrido.
Il protovescovo era invece stato un leggendario San Demetrio, talvolta considerato discepolo degli apostoli ed in particolare di San Giovanni, ma spesso confuso anche con l’omonimo megalomartire assai venerato in Oriente.
Nulla è stato purtroppo tramandato circa l’opera svolta da San Remedio tra le alpi francesi durante il suo episcopato. Gli succedette San Costantino, festeggiato al 12 aprile. Con il suo predecessore Tigrido, San Remedio condivide la commemorazione in data odierna, già citata da antichi breviari diocesani ed ancora oggi riportata dal Martyrologium Romanum.
Le reliquie di entrambi i santi pastori furono traslate a Tulle, nella regione Limousine, nel XIII secolo.
La diocesi di Gap fu accorpata nel 1801 a quelle di Digne, in seguito al concordato napoleonico, per poi essere ristabilita nel 1822 acquisendo gran parte del territorio dell’antica diocesi vicina di Embrun.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Remedio di Gap, pregate per noi.
*San Simeone il Vecchio (3 Febbraio)
Gerusalemme, inizi dell’era cristiana
San Simeone il vecchio e Sant'Anna, profetessa. Ebbero il merito di salutare il Bambino Gesù in occasione della sua presentazione al Tempio.
Etimologia: Simeone = Dio ha esaudito, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Gerusalemme, commemorazione dei Santi Simeone e Anna, il primo anziano giusto e pio, l’altra vedova e profetessa: quando Gesù Bambino fu portato al tempio per essere presentato secondo la consuetudine della legge, essi lo salutarono come Messia e Salvatore, beata speranza e redenzione d’Israele.
Non ha sentito gli angeli annunciare la nascita di Gesù, ma già da prima sapeva che la venuta del Messia era imminente.
Vangelo di Luca, cap. 2: "Lo Spirito Santo che era su di lui gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte prima di aver veduto il Messia del Signore".
E sa che ogni passo della sua vecchiaia lo avvicina a quel momento.
Chi è Simeone, ricordato sempre fra i santi delle Chiese d’Occidente e d’Oriente?
Alcuni testi apocrifi, ossia non canonici, lo dicono "sacerdote" (Protovangelo di Giacomo) e anche "grande maestro", "beato e giusto" (Vangelo di Nicodemo).
Luca lo dice solo "giusto e timorato di Dio, che aspetta il conforto d’Israele", cioè il Messia. Dev’essere dunque uno dei molti pii israeliti raccolti nell’attesa e piuttosto distaccati dalle vicende del tempo, dal fervido dibattito religioso fra i dotti nel clima della dominazione romana.
Vive nel “timor di Dio”, conscio di trovarsi sempre alla sua presenza.
E la sua vita esemplare è stata premiata con quella promessa, sicché la sua attesa del Messia non ha nulla di ansioso: Simeone aspetta sicuro e sereno.
Nasce Gesù, dunque, e viene poi il giorno della sua presentazione al tempio, secondo la Legge.
Maria e Giuseppe si avviano col bambino nel fitto viavai intorno all’edificio sacro innalzato da Erode il Grande, e non ancora del tutto terminato.
Ed ecco arrivare Simeone, anche lui, che riconosce in Gesù il Messia e lo prende tra le braccia benedicendo il Signore: ora egli può davvero morirsene in pace.
É la scena dolce e notissima, tanto spesso narrata e raffigurata.
Ma si può capirla solo tenendo presente il breve inciso di Luca al versetto 27: "Mosso dunque dallo Spirito...", dall’azione dello Spirito dipende ora ogni gesto di Simeone; e dipende tutto il suo discorso, che deborda vistosamente dalla tradizione, con parole che farebbero sobbalzare tanti maestri del tempo: "I miei occhi", dice, "hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele".
Simeone, “mosso dallo Spirito”, contraddice il particolarismo del suo tempo, che aspetta un salvatore solo o soprattutto di Israele.
Lui invece risale più indietro, si rifà all’universalismo dei profeti, a Isaia: "Ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra".
Gloria d’Israele sì, ma anche – e subito – salvatore per tutti.
Parole che stupiscono molto anche Maria e Giuseppe.
Ma per la Madre di Gesù il vecchio Simeone ha ancora un annuncio: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i segreti di molti cuori.
E anche a te una spada trafiggerà l’anima". Così termina Simeone, ancora “mosso dallo Spirito”, che ha incoraggiato la sua attesa.
E soprattutto l’ha illuminata.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Simeone il Vecchio, pregate per noi.
*San Tigrido (Teridio) di Gap - Vescovo (3 Febbraio)
IV secolo
Emblema: Bastone pastorale, Mitra
Martirologio Romano: A Gap in Provenza in Francia, Santi Teridio e Remedio, Vescovi.
San Tigrido (in francese Saint Tigide) è un personaggio alquanto incerto dal punto di vista storico e la sua vita è difficilmente collocabile cronologicamente. Fu vescovo di Gap, città francese nel cuore del Delfinato, storica regione alpina, posta tra la Savoia e la Provenza, anticamente autonoma e poi accorpata alla Francia dando così origine al tradizionale titolo di “delfino” all’erede al trono di tale nazione.
Secondo la cronologia della diocesi di Gap, Tigrido succedette alla sede episcopale di Gap al protovescovo, un leggendario San Demetrio, talvolta considerato discepolo degli apostoli ed in particolare di San Giovanni, ma spesso confuso anche con l’omonimo megalomartire assai venerato in Oriente.
Nulla è stato purtroppo tramandato circa l’opera svolta da San Tigrido tra le alpi francesi durante il suo episcopato.
Gli succedette San Remedio, con il quale condivide la commemorazione in data odierna, già citata da antichi breviari diocesani ed ancora oggi riportata dal Martyrologium Romanum.
Le reliquie di entrambi furono traslate a Tulle, nella regione Limousine, nel XIII secolo.
La diocesi di Gap fu accorpata a quelle di Digne nel 1801, in seguito al concordato napoleonico, per poi essere ristabilita nel 1822 acquisendo gran parte del territorio dell’antica diocesi vicina di Embrun.
*Santa Vereburga - Badessa - (3 Febbraio)
650 – 700 circa
Emblema: Bastone pastorale, Oca
Martirologio Romano: A Chester nella Mercia in Inghilterra, Santa Verburga, Badessa di Ely, Fondatrice di vari monasteri.
La santa principessa Vereburga (o Wereburga) discendeva da una famiglia di Santi. Venerate come tali erano infatti sua madre Ermenilda (Ermengilda), sua zia Ercongota, sua nonna materna Sexburga, le sorelle di quest’ultima Eteldreda, Etelburga e Vitburga, nonché la sorellastra Santa Setrida.
Eteldreda, Sexburga ed Ermenilda si susseguirono nella carica di badessa di Ely e la tradizione vuole che dopo di esse giunse il turno per Vereburga nel ricoprire il prestigioso incarico. Nata nel 650 dal re Wulfhere di Mercia e da Santa Ermenilda, nel 675 alla morte del padre Vereburga rinunciò ai fasti della corte e si ritirò nell’abbazia di Ely.
Il fratello del defunto, Etelredo, succedutogli al trono, fece tornare la nipote per affidarle un gruppo di case per religiose nelle contee dell’Inghilterra centrale, con lo specifico compito di introdurvi una più rigida osservanza. Tra questi monasteri figuravano quello di Weedon nel Nothamptonshire, già abitazione reale che la santa poi trasformò in monastero, Trentham nel Lincolnshire, ove ella morì, ed Hanbury nello Staffordshire, in cui desiderò essere sepolta. Le reliquie di Vereburga furono poi traslate a Chester, assai probabilmente per salvarle dalla profanazione durante le invasioni danesi. Qui il suo sacrario, posto nella cattedrale cittadina, divenne frequentatissima meta di pellegrinaggi.
Santa Vereburga deve gran parte della sua popolarità ad una romanzesca leggenda, secondo la quale la bella principessa respinse le avances di non pochi corteggiatori onde salvaguardare la sua consacrazione al Signore. A Werbod, suo principale ammiratore, il sovrano concesse la figlia in sposa, purché egli riuscisse ad ottenere il libero consenso da parte di Vereburga.
Il pretendente era però pagano e quindi già la regina Ermenilda ed i suoi figli si opposero all’eventualità di questa unione, suscitando però in tal modo la sua ira. I principi erano stati educati da San Chad, vescovo di Lichfield, che viveva in una foresta e dava perciò loro la possibilità di mascherare le visite rivoltegli con delle spedizioni di caccia. Werbod denunciò questo fatto al re e questi non esitò a farli uccidere.
Anche Werbod, però, ben presto andò incontro ad una miserabile morte ed il sovrano, roso dal rimorso, mutò in positivo i suoi rapporti con la sua santa consorte e con San Chad. Questi eventi incoraggiarono Vereburga nel suo proposito e chiese allora il permesso al padre di poter entrare ad Ely. Un’altra antica leggenda spiega il perchè l’oca sia divenuto l’emblema principale di questa santa: un gruppo di oche selvatiche devasto i raccolti di Weedon e Vereburga le fece catturare, ma dopo che nottetempo un servo ne uccise una e la cucinò, la santa la riportò in vita. Lo stormo di animali poi fuggì, senza più tornare a rovinare i raccolti.
Le reliquie di Santa Vereburga vennero nuovamente traslate nella cattedrale di Chester nel 1095, cioè pressapoco quando Goscelino scrisse la sua Vita, ove questa leggenda è raffigurata su una mensola d’appoggio di un sedile del coro: al centro vi è la santa con un bastone pastorale in mano, mentre un servo le porge un’oca; sulla destra un uomo confessa di aver rubato l’animale, mentre a sinistra si scorgono le altre oche rinchiuse. Questa storiella in realtà era già stata utilizzata dallo stesso autore nella Vita di Santa Amalberga.
Santa Vereburga è festeggiata dal Martyrologium Romanum al 3 febbraio, presumibilmente data della morte, mentre il 21 giugno ricorre l’anniversario della traslazione delle reliquie nella cattedrale di Chester, della quale è protettrice.
Attrazione per numerosi pellegrini, il suo sacrario fu però distrutto sotto il regno di Edoardi VIII d’Inghilterra, nel contesto della Riforma Protestante e della nascita della Chiesa Anglicana.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Vereburga, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (3 Febbraio)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.